Il Paradiso è già qui? – A proposito di alcuni teologi bizantini sul Paradiso e le cose ultime


In questo breve intervento non è nostra intenzione toccare le questioni dogmatiche dell’escatologia che sono abbastanza complesse come il purgatorio, l’apocatastasi o il momento della resurrezione dei corpi, il tempo intermedio tra il momento della morte e la Seconda venuta di Cristo, il rapporto fra tempo ed eternità, il giudizio particolare e universale e l’importanza della preghiera ecclesiale per i defunti che tuttavia sono temi di grandissima rilevanza, ma dare una visione delle premesse antropologiche e soteriologiche che sono intimamente legate alla teologia escatologica della Chiesa bizantina e non solo bizantina dal momento che il cammino della santificazione dell’uomo fa parte anche della chiara coscienza ecclesiale e dogmatica della Chiesa cattolica.

E’ chiaro che la trattazione del paradiso occupi in questa trattazione un posto privilegiato. Parlando della realtà del Paradiso e della relazione tra questa vita terrena e la vita escatologica, tenendo ben presente la dinamica di continuità-rottura, identità-diversità della vita terrena e la novità escatologica, abbiamo anche ben chiaro che l’escatologia non è evasione dalla realtà ma piuttosto un momento ineludibile dell’antropologia teologica dal momento in cui questa intende l’uomo come essere storico [1]. Vogliamo attingere alla teologia orientale e in particolare dalla spiritualità russa che è escatologica per eccellenza certi aspetti e certi atteggiamenti biblici, patristici e liturgici che si possano considerare complementari allo sforzo teologico comune in questo campo.

[1] Cfr R. de la Pena, L’altra dimensione. Escatologia cristiana, Borla 1981.

L’escatologia

“L’escatologia in quanto dottrina concernente i confini ultimi e finali, ta eschata, che si trovano oltre i confini del mondo attuale e sono ad esso trascendenti, si distingue naturalmente per dei tratti particolari, che non sono propri agli altri settori della teologia. Da una parte, essendo contigua a tutto il sistema della teologia e quasi coronandolo, essa concerne tutti i suoi dogmi, è l’ultima parola dell’ontologia cristiana e può essere esposta soltanto in rapporto a quest’ultima. D’altra parte in quanto attinente come proprio contenuto a ciò che è nuovo e a ciò che è nuovissimo (de novissimis, secondo l’espressione usata alla teologia cattolica ) essa maggiormente di altri settori della teologia, si basa sulla Rivelazione, presente nella Parola di Dio e in molti testi disseminati nei libri sacri. Non è stato ancora fatto il definitivo bilancio dogmatico di tutti questi dati della Rivelazione”.[2]

Da questo lunga descrizione fatta da S. N. Bulgakov possiamo concludere che l’escatologia non parla solo delle cose ultime ma che l’escatologia stessa è il compimento di molti trattati teologici. E in particolare possiamo compiere un ulteriore passo con linguaggio preso maggiormente dalla teologia occidentale: se l’escatologia da senso ultimo e definitivo all’ontologia della persona creata ad Immagine e Somiglianza di Dio e del mondo creato dal nulla da Dio e della Chiesa la troviamo a buona ragione come compimento del trattato di Protologia, di Antropologia, di Ecclesiologia, Soteriologia …ma come capire questo suggerimento?

John Panteleimon Manoussakis nel suo articolo “The Anarchic Principle of Christian Eschatology in the Eucharistic Tradition of the Eastern Church”,[3] ci dice che potremmo vedere la realtà teologica attraverso quell’intenzionalità rovesciata (citando in merito Levinas e Marion), che ci viene suggerita dall’escatologia nella celebrazione eucaristica (l’escaton non è la fine della storia, ma è l’incarnazione così come avviene l’inserimento nella storia dei frutti della salvezza della celebrazione eucaristica. E’ solo nella Chiesa che noi non siamo semplicemente quello che siamo stati, cioé il frutto delle nostre scelte buone o sbagliate che siano, ma ciò che saremo. In un certo senso di fronte alle cose prese in se stesse ci sono le cose come saranno. Cambia il punto di vista, da storico a escatologico (che non significa però a-storico). Il nostro autore prende in esame l’atteggiamento solamente protologico di certa cultura alla ricerca delle cause prime. Ma questo modo di procedere non è quello della teologia dove una serie di eventi nel mistero di Cristo hanno invertito la direzione da cui guardare alla realtà. Cioè il pieno significato della vita e del mondo viene alla fine, ecco perché in un certo senso, quasi per provocazione, l’articolo parla di un principio “anarchico” e cioè “senza principi”. In questo senso la teologia escatologica rovescia il punto di vista naturalistico, storicistico, in modo che l’uomo non è solo quello che è stato, o solo quello che è ora ma quello che sarà.

Inoltre i misteri escatologici, continua Manoussakis, sono intimamente legati all’azione dello Spirito Santo così che pneumatologia ed escatologia sono intimamente connesse nell’annunciare le cose che devono venire. In questa strada non basta solo parlare di Salvezza e di Redenzione ma serve parlare di santificazione che è il frutto della Pentecoste. In questa visione anche antropologica, il Regno viene proclamato come realtà e non solo come cosa a venire, ricordando sempre e comunque la Seconda Venuta di Cristo. In fondo tutto il cammino dell’uomo diventa un cammino di illuminazione e la luce dell’eschaton rende le cose visibili mentre rimane invisibile. Già fin da ora, scrive Manoussakis, anche se non pienamente manifestata la verità escatologica è una realtà presente anche se in una forma nascosta. Dunque c’è un’anticipazione del Regno di Dio e della sua luce a cui l’uomo per grazia partecipa. Dunque esiste una sorta di teologia della liberazione escatologica in cui la realtà storica viene strappata al determinismo storico e al fatalismo scettico.

In altre parole, diremmo noi, la luce della gloria di Dio riverbera come piccola luce anche nelle persone umane segnando in modo umile e regale la via dei pellegrini nella preghiera, nella lotta spirituale, nella carità nella sostegno del più povero e nella solidarietà della giustizia del Regno, unite all’azione dello Spirito di Santificazione, alla vita sacramentale a partire dall’Eucarestia, che fanno si che l’uomo sia sempre più somigliante, nella sua debolezza e fragilità e malgrado esse, a Colui di cui è immagine, il Cristo che rivela il Volto del Padre nel suo mistero Pasquale, nella sua gloriosa discesa e risalita verso il Padre assieme all’umanità. In altre parole il cammino della theosis, della divinizzazione, della filiazione, partecipa già e non ancora in modo misterioso per condiscendenza divina al mistero che sarà rivelato pienamente alla fine dei secoli ma già operante nella vita degli uomini e del mondo.

[2] S.N. Bulgakov, La Sposa dell’Agnello, EDB 1991,553

[3] J. P. Manoussakis, The Anarchic Principle of Christian Eschatology in the Eucharistic Tradition of the Eastern Church, in Harward Theological Rewiew, 100:1 (2007), 29-46.

Storicità escatologica?

Possiamo dunque parlare di una storicità escatologica (già e non ancora) della persona umana?. Padre Tomas Spidlik sj scrive che si deve parlare di un’escatologia pre-partecipata, guardando i segni di santità escatologica nelle persone sante, l’aspetto escatologico della celebrazione dei sacramenti, il ricordo delle feste e della Madre di Dio eschaton realizzato,[4] l’escatologia pre-partecipata qui ed ora sulla terra, anche se non pienamente manifestata. In altre parole il Paradiso, in un certo senso, è già qui ed ora ma non ancora manifestato pienamente nel suo splendore incommensurabile e avvolto nel mistero rivelato dal Corpo Glorioso di Cristo.

Diceva Don Divo Barsotti, fra i primi in Italia che ha cominciato ad interessarsi del Cristianesimo Russo, che l’unica grande questione dell’escatologia (la teologia delle cose ultime) è la seguente questione: di che natura sarà il nostro corpo risorto? Anche noi non siamo in grado di rispondere a questa domanda ma certo è che anche il corpo risorgerà nell’ultimo giorno e sarà lo stesso corpo che ha vissuto sulla terra, mentre la ipostasi umana dell’anima porterà misteriosamente i segni del corpo umano fino alla Risurrezione dei corpi (della carne) anche se in modo diverso, anche se trasformato ad immagine del Corpo glorioso di Cristo e questa realtà di fede ci sembra abbia una grande importanza per la vera evangelizzazione anche oggi soprattutto di fronte al mistero della morte, chance o pietra di inciampo per gli intellettuali, di scienza e della tecnologia di oggi. Vale a dire il futuro è già qui e noi ne partecipiamo nella misura in cui accogliamo e viviamo questa verità di fede e di salvezza.

La Resurrezione

La vita e la morte, che è parte della vita stessa, preparano nella forza dello Spirito Santo, in un cammino di santificazione, la Resurrezione in Cristo e nello Spirito Santo dell’uomo, anima e corpo. Ci sembra utile ricordare a questo proposito V. Solov’ev che potrebbe illuminarci ulteriormente. Per Solov’ev tutte le religioni in diversi linguaggi ed espressioni concordano sul fatto, in linea di massima, che dopo la morte, dopo aver vissuto una vita in cui non c’é piena giustizia, gli uomini entrano in una dimensione nella quale ci sarà una giusta ricompensa per ciascuno. Questo, tra l’altro, é confermato dai numerosi studi che si sono fatti negli ultimi anni sulle religioni che diventano una realtà sempre più presente anche in Europa e in Italia grazie al fenomeno mondiale delle migrazioni. V. Solov’ev riflettendo su questo fu assalito da veri dubbi di fede: “Si può credere che vi sia un elemento davvero nuovo rispetto alle altre religioni, nel cristianesimo? Può darsi che sia più nobile l’idea del Paradiso che ci offrono gli autori cristiani rispetto alle immaginazioni degli altri, ma la sostanza rimane la stessa (…) Ma alla fine intuì la giusta risposta. Si convertì proprio come il Faust di Goethe, al suono delle Campane di Pasqua. Ciò significava per Solov’ev che Cristo non è entrato in un’altra vita, ma è ritornato nella sua stessa vita, ha divinizzato la vita che aveva prima: dopo la Risurrezione mangia il Pesce con i suoi discepoli, torna in Galilea, appare loro presso il Lago di Tiberiade, dove tante volte erano stati insieme. Tutto ciò che è assorbito dall’Amore del Padre non si putrefà nella tomba, non si distrugge perché l’amore vive in eterno. Tutto quello che Cristo ha vissuto, assorbito nell’amore, passa con lui nell’eternità. E tutto quello che noi viviamo nell’amore passa con lui nella Resurrezione. Questo fatto è una totale novità rispetto a tutte le religioni. Se Cristo non fosse risorto dai morti la nostra fede sarebbe vana, dice San Paolo”[5].

E’ qui che vediamo la distinzione, scrive Spidlik, fra simbolo gnostico e simbolo reale cristiano. Gli gnostici vedono nei testi sulla Resurrezione di Cristo un mero simbolo oggetto di una speranza non ben definita. Ma come dice Spidlik: “l’azione dello Spirito nella Resurrezione salva la vera corporeità dell’uomo”[6]. E’ qui che siamo in presenza delle sorgenti del vero simbolo cristiano: “credo la resurrezione della carne” (Simbolo degli Apostoli). Il corpo dell’uomo in Cristo e nello Spirito Santo risorgerà e sarà riunito all’anima e formeranno il corpo spirituale animato dallo Spirito Santo, che ne testimonierà la continuità ontologica di identità ipostatica e cioè personale dell’anima e del corpo sebbene nella nuova condizione alla Seconda Venuta di Cristo..

Altri Autori come D. Staniloae nel terzo volume della sua Trilogia,[7] scrive che l’amore e l’amicizia celeste sono il fondamento di una trasparenza e di una comunione perfetta, non ostacolata dai corpi ma che si realizza nella sua forma perfetta anche tramite i corpi come tramite essi si realizza l’amore imperfetto terreno.

Ma una cosa è chiara:la continuazione dell’identità ontologica, anche se trasformata ad immagine del corpo glorioso di Cristo, del corpo umano mortale che farà si che l’uomo possa godere pienamente della comunione con Cristo nel paradiso alla Seconda venuta di Cristo nel momento della Risurrezione dei corpi.

[4] Cfr T. Spidlik, Maranathà. La vita dopo la morte, Lipa, 2007, 84-97.

[5] T. Spidlik, Maranathà, op.cit. 209-210.

[6] T. Spidlik, Maranathà, op.cit., 218.

[7] Cfr D. Staniloae, Teologia Dogmatica Ortodoxa, Trilogia, Volume II, II edizione, Bucuresti, 1997.

Il Paradiso già qui

Il Paradiso è la comunione con Cristo stesso, è Cristo stesso. L’ideale dell’antico Paradiso perduto e recuperato e perfezionato risiede ancora nel corpo risorto glorioso di Gesù [8]. In questo senso il significato cristologico e pneumatologico del Paradiso può aiutarci a recuperare alcune visioni del Paradiso come quella della Visione e della Partecipazione alla Luce di Cristo attraverso le sue energie divine. In questa comunione con Cristo il Paradiso secondo Gregorio di Nissa sarebbe il ritorno perfezionato all’eleutheria, la piena libertà di fare il bene senza alcun impedimento [9], e in questo, dal momento in cui Cristo come uomo è salito al cielo il cielo è sceso sulla terra, siamo di nuovo in presenza di una pregustazione del Paradiso.

S. Bulgakov ha qualche accentuazione del Regno di Cristo già sulla terra (e non ancora pienamente realizzato e manifestato). Commentando nella sua opera L’Agnello di Dio, la pericope paolina di 1 Cor 15, 24-28, Bulgakov dice che l’avvento al trono si realizza nella lotta per il Regno nel dramma della separazione fra luce e tenebra e che il testo diventa comprensibile solo a partire dalla premessa irrinunciabile circa il ministero regale di Cristo:il suo avvento al Regno si realizza in tutta la storia, la quale ha però il suo compimento nell’escaton. Ci sembra importante questa sottolineatura della lotta spirituale per l’avvento del Regno dapprima in una confusa interazione durante la nostra vita terrena e infine nella loro separazione escatologica fra le forze del bene e le forze del male. L’avvento della città di Dio cioè non avviene in modo pacifico e armonioso nell’esecuzione di un piano determinato a priori ma è lotta creativa e tragedia. Ed è per questo motivo che Bulgakov afferma più volte nella sua opera che la storia è teandrica in quanto la forza divina si unisce alla libertà umana, fedele in questo all’enunciazione del dogma delle due volontà del sesto Concilio Ecumenico. In questo senso potremmo dire che la lotta per la vita e l’autentica creatività condotta sulla terra hanno un senso escatologico reale ed ontologico e non semplicemente astratto o semplicemente a titolo indicativo.

Proseguendo su questa scia quando si parla di Paradiso si intendono due cose, secondo Nikos Matsoukas: “il cammino verso la perfezione della creazione razionale in vista del superamento dell’annullamento, e infine l’ingresso definitivo nella gloria del Regno, in cui grazie all’illuminazione incessante ci sarà sempre la comunione agapica nella contemplazione di Dio. Fin dall’inizio il paradiso è presentato e descritto dai Padri come una realtà sensibile e spirituale, collocata nell’ambiente naturale e storico laddove è emersa anche la ribellione delle creature contro il loro creatore”[10]. Per Matsoukas esiste dunque un carattere dinamico ed evolutivo della vita dell’uomo, diremmo proprio escatologico che non cambia nemmeno con il raggiungimento dello scopo cioè della gloria divina. La contemplazione di Dio è insaziabile e il progresso continuo. Se la vita paradisiaca è un mistero reale di comunione e di illuminazione con Dio e con gli altri uomini risorti, liberi di accettarla o di rifiutarla, sotto i raggi della gloria divina o si irrigidiscono (coloro che non l’hanno accettata) o si riscaldano di questa luce, diventano più soavi. Se l’inferno è la non partecipazione a Dio la partecipazione comporta il gusto della vita paradisiaca come dice Giovanni Damasceno nel suo Contro i manichei. Nelle sentenze di Macario l’Egiziano, citato anche da Matsoukas, troviamo una bella immagine della situazione di chi non gode del gusto del paradiso ma è nell’inferno. Il volto di ciascun dannato è attaccato al dorso dell’altro, così’ nessuno può vedere il volto degli altri; il dannato chiede all’abate di pregare per lui perché possa vedere almeno per un attimo il volto del suo vicino.

Evidentemente dall’affermazione l’enfer c’est l’autre alla preghiera di un vivo perché il trapassato possa vedere il volto dell’altro trapassato ci passa tutto il mistero escatologico di comunione e di luce che, in Cristo e nello Spirito Santo, caratterizza il paradiso come destinazione piena dell’uomo.

[8] Cfr W.Kasper, Jesus der Christus, Mainz 1974,178s in T. Spidlik, Maranathà, op.cit 167.

[9] Cfr T. Spidlik, Maranathà, op.cit., 174-175.

[10] N. Matsoukas, L’Escatologia (il Paradiso e l’Inferno).

La vita eterna

Anche di fronte alla vita eterna le immaginazioni popolari sono molteplici, alcune incoraggianti altre meno, dice Spidlik. Di fronte ad un’eternità popolarmente immaginata come un gira e rigira, come un’ eternità che non finisce proprio mai e poi mai… abbiamo di nuovo una soluzione cristologica, anche perchè non possiamo aspettarci che i ragionamenti umani possano risolvere tranquillamente la questione. Nel cristianesimo anche di fronte alle diverse religioni abbiamo un novum: il Cristo ha vissuto nella storia, nello spazio e nel tempo in un determinato periodo storico, ma unito inseparabilmente nella sua personalità alla divinità, alla Persona del Padre. E in simile modo questa unione avviene nella Liturgia a partire dall’Eucarestia.

Per T. Spidlik il migliore modo con cui possiamo esprimere l’eternità e la speranza nell’eternità è simbolico: “l’eterna liturgia. La fondamentale verità del cristianesimo è il ritorno a tutta la vita. Dunque niente di buono può essere perduto e tutto deve acquistare un valore eterno. Questa è l’eternità che ci consola, l’eternità della persona e del bene che ha fatto” [11].

[11] T. Spidlik, Maranathà, op. cit. ,229.

L’escatologia cosmica

Non possiamo tralasciare un accenno sull’escatologia comunitaria e cosmica per non porre l’accento solamente su quella personale anche se è chiaro che quando si parla di personale si intende di tutti gli uomini. Anche il cosmo e la famiglia degli uomini sono coinvolti nella Resurrezione finale dei corpi alla seconda venuta del Cristo. E il mondo trasfigurato e trasformato in quel momento non sarà un altro mondo ma sarà lo stesso sebbene trasformato, come il corpo dell’uomo non sarà un altro corpo ma sarà lo stesso corpo sebbene trasformato. Lo stesso corpo degli uomini che avranno amato, lottato, sperato, sofferto, creato, rispondendo al mandato di Dio di lavorare e sottomettere il mondo ai fini della Provvidenza divina. Di questo possiamo trovare testimonianza in moltissimi teologi che trattano l’argomento della Trasfigurazione del cosmo nel momento del compimento finale del senso interno ed ultimo della storia.

La nostra vita, manifestata in pienezza, è molto più comunitaria ed ecclesiale di quanto lo possiamo pensare. Dice un proverbio russo: se un contadino va all’inferno ci va da solo ma se va in paradiso ci va con tutto il villaggio.

Conclusione

Alla fine di questo breve excursus possiamo certamente dire che la realtà escatologica della Persona Gloriosa del Cristo é la fonte di ogni illuminazione e di ogni energia e di ogni santificazione nello Spirito Santo qui sulla terra, pur ammettendo chiaramente la discontinuità fra la vita terrena e la vita dell’al di là, e ammettendo che dal punto di vista teologico non è semplice parlare di Regno di Dio sulla terra, evitando di dare adito e ragioni a possibili interpretazioni di un progetto millenario di cristianità medioevale o di una teologia escatologica dell’essere solamente procedente dal futuro, o come astratto universale alla base dell’esistente e che non ha niente a che vedere con il Regno di Cristo che verrà, totalmente inesprimibile.[12] Il Regno di Cristo é già presente in Gesù Cristo, nella sua vita terrena. Il Regno di Cristo che verrà nella gloria nella sua Parusia gloriosa si realizza ora nella storia anche se non ancora pienamente. Cristo nel suo mistero Pasquale è il fondamento di ogni escatologia personale e comunitaria. Possiamo dire che la vita dell’al di là viene vista negli autori presi in esame come un motore ed ispiratore della storia delle persone non semplicemente alla fine di un cammino, non come un tesoro da ritrovare e al quale non serve aggiungere altro se non la autentica fede personale per accoglierlo ( la sola fede), ma durante il cammino stesso nella vita quotidiana dell’uomo. Cristo che ci aiuta, guarisce e sana è anche colui che ci santifica nella forza del suo Spirito Santo e ci glorificherà con la sua Luce nella comunione di vita piena con lui alla sua seconda venuta. Questa visione da molto senso anche alla vita terrestre degli uomini e delle donne e alla domanda di senso che la cultura e gli uomini stessi stanno ponendo fino a considerare la nostra storia non solo davanti a Dio ma con Dio, con Cristo. Da una dinamica liquidità della cultura ad una dinamica del pellegrinaggio, del provvisorio, verso il monte di Dio in cui ogni passo in Cristo, anche se incerto da parte dell’uomo, contiene già i successivi, anche se in modo non chiaro, e in cui il desiderio di raggiungere la meta è animato dalla meta stessa non solo in senso figurato. Il riferimento al mistero di Cristo presente nella nostra vita è anche parte della visione della teologia cattolica operante e vivificante in ogni passaggio della vita prima della morte, in morte e dopo la morte (si vive, si muore e si risorge con Cristo). Cioè come sono molto importanti i momenti della morte e i successivi e il raggiungimento della comunione piena con Cristo fra i suoi angeli e i suoi santi uniti nell’anamnesis e nella dossologia (Paradiso), lo sono tutti i momenti della nostra vita che già hanno il dono della pre-gustazione, nella fede, del paradiso sulla terra. In una parola accogliere, custodire e sostenere la vita dell’uomo, preziosa agli occhi di Dio, significa accoglierla e difenderla all’inizio, alla fine e durante tutta la vita terrena dell’uomo stesso.

Ne viene, inoltre, confermata l’ipotesi fatta all’inizio di questa breve relazione che la teologia escatologica tocca, in un certo senso, tutti i dogmi e si costruisce dunque anche su delle basi antropologiche e soteriologiche della teologia stessa. Cioé anche nell’escatologia è presente il mistero dell’uomo ad Immagine e somiglianza di Dio e della fede di chi accetta questa antropologia biblica e soprattutto patristica, ripresa, molto spesso, nel Magistero cattolico.

G.M.

[12] Cfr Voce Escatologia in Nuovo Dizionario di Teologia, Ed. Paoline, 1977. Cfr R. de la Pena, L’altra dimensione. Escatologia cristiana, op.cit., 108, a proposito dell’escatologia realizzata di C.H. Dodd.